Dal Vangelo secondo Giovanni • Gv 18,33b-37


In  quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù  rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?».  Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti  ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».
Rispose Gesù: «Il  mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i  miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai  Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù».
Allora Pilato gli disse:  «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo  io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza  alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Cap.604 § 17-29

604.17 […] Torno a vedere il Tempio sull’alto del suo colle e comprendo che il cerchio ozioso fatto fare al Condannato, per darlo in berlina a tutta la città e permettere a tutti di insultarlo, aumentando passo per passo gli insultatori, sta per conchiudersi di nuovo tornando sui luoghi di prima.


 604.18Da un palazzo esce al galoppo un cavaliere. La gualdrappa porpurea sopra il candore del cavallo arabo e l’imponenza del suo aspetto, la spada brandita nuda, e menata di piatto e di taglio su schiene e su teste che sanguinano, lo fanno parere un arcangelo. Quando in un caracollo, in un’impennata del cavallo che cor­vetta, facendo degli zoccoli un’arma di difesa per se stesso e per il padrone e il più valido degli strumenti di apertura per farsi largo fra la folla, gli cade dal capo il velo di porpora e oro che lo copriva, tenuto stretto da una striscia in oro, riconosco Manaem.
 «Indietro!», urla. «Come vi permettete turbare i riposi del Te­trarca?». Ma questo non è che una finta per giustificare il suo intervento e il suo tentativo di giungere a Gesù. «Quest’uomo… lasciatemelo vedere… Scostatevi, o chiamo le guardie…».
 La gente, e per la grandine delle piattonate, e per i calci del cavallo, e per la minaccia del cavaliere, si apre, e Manaen raggiunge il gruppo di Gesù e delle guardie del Tempio che lo tengono.
 «Via! Il Tetrarca è da più di voi, luridi servi. Indietro. Gli voglio parlare», e lo ottiene caricando con la sua spada il più accanito dei carcerieri.
 «Maestro!…».
 «Grazie. Ma vai! E Dio ti conforti!». E, come può con le mani legate, Gesù fa un cenno di benedizione.
 La folla fischia da lontano e, non appena vede che Manaen si ritira, si vendica d’essere stata respinta con una grandine di pietre e di immondezze sul Condannato.


 604.19Per il viale, che è in salita ed è già tutto tiepido di sole, ci si avvia verso la torre Antonia, la cui mole già appare lontano.
 Un grido acuto di donna: «Oh! il mio Salvatore! La mia vita per la sua, o Eterno!», fende l’aria.
 Gesù gira il capo e vede, dall’alto della loggia fiorita che incorona una casa molto bella, Giovanna di Cusa fra serve e servi, coi piccoli Maria e Mattia intorno, tendere le braccia al cielo. Ma il Cielo non sente preghiera oggi! Gesù solleva le mani e traccia un gesto di benedicente addio.
 «A morte! A morte il bestemmiatore, il corruttore, il satanasso! A morte gli amici di esso», e fischi e sassi vengono frombolati verso l’alta terrazza. Non so se qualcuno sia ferito. Sento un grido acutissimo e poi vedo scomporsi il gruppo e scomparire.
 E avanti, avanti, salendo… Gerusalemme mostra le sue case al sole, vuote, svuotate dall’odio che spinge tutta una città, coi suoi effettivi abitanti e coi posticci qui convenuti per la Pasqua, contro un inerme.


 604.20Dei soldati romani, tutto un manipolo, esce di corsa dall’Antonia con le aste puntate contro la plebaglia, che urlando si sperde. Restano in mezzo alla via Gesù con le guardie e i capi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani del popolo.
 «Quest’uomo? Questa sedizione? Ne risponderete a Roma», dice altezzoso un centurione.
 «È reo di morte secondo la nostra legge».
 «E da quando vi è stato reso l’jus gladii et sanguinis?», chiede sempre il più anziano dei centurioni, un volto severo, veramente romano, con una guancia divisa da una cicatrice profonda. E parla con lo sprezzo e il ribrezzo con cui avrebbe parlato a galeotti pidocchiosi.
 «Lo sappiamo che non lo abbiamo questo diritto. Siamo i fedeli dipendenti di Roma…».
 «Ah! Ah! Ah! Sentili, Longino! Fedeli! Dipendenti! Carogne! Le frecce dei miei arcieri vi darei per premio».
 «Troppo nobile tal morte! Le schiene dei muli vogliono solo il flagrum!…», risponde con ironica flemma Longino.
 I capi dei sacerdoti, scribi e anziani spumano veleno. Ma vogliono ottenere lo scopo loro e tacciono, inghiottono l’offesa senza mostrare di capirla e, inchinandosi ai due capi, chiedono che Gesù sia portato da Ponzio Pilato perché «giudichi e condanni con la ben nota e onesta giustizia di Roma».
 «Ah! Ah! Odili! Siamo divenuti più saggi di Minerva… Qui! Date! E marciate avanti! Non si sa mai. Voi siete sciacalli e fetenti. Avervi alle spalle è un pericolo. Avanti!».
 «Non possiamo».
 «E perché? Quando uno accusa deve essere davanti al giudice coll’accusato. Questa è la regola di Roma».
 «La casa di un pagano è immonda agli occhi nostri, e noi già siamo purificati per la Pasqua».
 «Oh! miserini! Si contaminano a entrare!… E l’uccisione dell’unico ebreo che uomo sia, e non sciacallo e rettile vostro pari, non vi sporca? Va bene. State dove siete, allora. Non un passo avanti o sarete infilzati sulle aste. Una decuria intorno all’Accusato. Le altre contro questa marmaglia sitente di becco mal lavato».


 604.21Gesù entra nel Pretorio in mezzo ai dieci astati, che fanno un quadrato di alabarde intorno alla sua persona. I due centurioni vanno avanti. Mentre Gesù sosta in un largo atrio, oltre il quale è un cortile che si intravvede dietro una tenda che il vento sommuove, essi scompaiono dietro una porta.
 Rientrano col Governatore, vestito di una toga bianchissima sulla quale però è un manto scarlatto. Forse così erano quando rappresentavano ufficialmente Roma. Entra indolentemente, con un sorrisetto scettico sul volto sbarbato, stropiccia fra le mani delle fronde di erba cedrina e le fiuta con voluttà. Va ad una meridiana, si rivolge dopo averla guardata. Getta dei grani d’incenso nel braciere posto ai piedi di un nume. Si fa portare acqua cedrata e si gargarizza la gola. Si rimira la pettinatura tutta a onde in uno specchio di metallo tersissimo. Pare che abbia dimenticato il Condannato che aspetta la sua approvazione per essere ucciso. Farebbe venire l’ira anche alle pietre.
 Gli ebrei, posto che l’atrio è tutto aperto sul davanti e sopraelevato di tre alti scalini anche sul vestibolo, che si apre sulla via già sopraelevato di altri tre sulla via stessa, vedono tutto benissimo e fremono. Ma non osano ribellarsi per paura delle aste e dei giavellotti.
 Finalmente, dopo avere girato e rigirato per l’ampio luogo, Pilato va diritto incontro a Gesù, lo guarda e chiede ai due centurioni: «Questo?».
 «Questo».
 «Vengano i suoi accusatori», e va a sedersi sulla sedia posta sulla predella. Sul suo capo le insegne di Roma si incrociano con le loro aquile dorate e la loro sigla potente.
 «Non possono venire. Si contaminano».
 «Euè!!! Meglio. Eviteremo fiumi d’essenze per levare il caprino al luogo. Fateli avvicinare, almeno. Qui sotto. E badate non entrino, posto che non vogliono farlo. Può essere un pretesto, quest’uomo, per una sedizione».
 Un soldato parte per portare l’ordine del Procuratore romano. Gli altri si schierano sul davanti dell’atrio a distanze regolari, belli come nove statue di eroi.


 604.22Vengono avanti i capi dei sacerdoti, scribi e anziani, e salutano con servili inchini e si fermano sulla piazzetta che è al davanti del Pretorio, oltre i tre gradini del vestibolo.
 «Parlate e siate brevi. Già in colpa siete per avere turbato la notte e ottenuto l’apertura delle porte con violenza. Ma verificherò. E mandanti e mandatari risponderanno della disubbidienza al decreto». Pilato è andato verso di loro, rimanendo nel vestibolo.
 «Noi veniamo a sottoporre a Roma, di cui tu rappresenti il divino Imperatore, il nostro giudizio su costui».
 «Quale accusa portate contro di lui? Mi sembra un innocuo…».
 «Se non fosse malfattore non te lo avremmo portato». E nella smania di accusare si fanno avanti.
 «Respingete questa plebe! Sei passi oltre i tre scalini della piazza. Le due centurie all’armi!».
 I soldati ubbidiscono veloci, allineandosi cento sul gradino esterno più alto, con le spalle volte al vestibolo, e cento sulla piazzetta su cui si apre il portone d’ingresso alla dimora di Pilato. Ho detto portone: dovrei dire androne o arco trionfale, perché è una vastissima apertura limitata da un cancello, ora spalancato, che immette nell’atrio per il lungo corridoio del vestibolo largo almeno sei metri, di modo che ben si vede ciò che avviene nell’atrio sopraelevato. Oltre l’ampio vestibolo si vedono le facce bestiali dei giudei guardare minacciose e sataniche verso l’interno, guardare dall’al di là della barriera armata che, gomito a gomito, come per una parata, presenta duecento punte ai conigli assassini.
 «Quale accusa portate verso costui, ripeto».
 «Ha commesso delitto contro la Legge dei padri».
 «E venite a seccare me per questo? Pigliatelo voi e giudicatelo secondo le vostre leggi».
 «Noi non possiamo dar morte ad alcuno. Dotti non siamo. Il Diritto ebraico è un pargolo deficiente rispetto al perfetto Diritto di Roma. Come ignoranti e come soggetti di Roma, maestra, abbiamo bisogno…».
 «Da quando siete miele e burro?… Ma avete detto una verità, o maestri del mendacio! Di Roma avete bisogno! Sì. Per sbarazzarvi di costui che vi dà noia. Ho compreso». E Pilato ride, guardando il cielo sereno che si inquadra come una rettangolare lastra di cupa turchese fra le marmoree e candide pareti dell’atrio. «Dite: in che ha commesso delitto contro le vostre leggi?».
 «Noi abbiamo trovato che costui metteva il disordine nella nostra nazione e che impediva di pagare il tributo a Cesare, dicendosi il Cristo, re dei giudei».


 604.23Pilato ritorna presso Gesù, che è al centro dell’atrio, lasciato là dai soldati, legato ma senza scorta tanto appare netta la sua mansuetudine. E gli chiede: «Sei Tu il re dei giudei?».
 «Per te lo chiedi o per insinuazione d’altri?».
 «E che vuoi che me ne importi del tuo regno? Son forse io giudeo? La tua nazione e i capi di essa mi ti hanno consegnato perché io giudichi. Che hai fatto? Ti so leale. Parla. È vero che aspiri al regno?».
 «Il mio Regno non viene da questo mondo. Se fosse un regno del mondo, i miei ministri e i miei soldati avrebbero combattuto perché i giudei non mi pigliassero. Ma il mio Regno non è della Terra. E tu lo sai che al potere Io non tendo».
 «Ciò è vero. Lo so. Mi fu detto. Ma però Tu non neghi d’essere re?».
 «Tu lo dici. Io sono Re. Per questo sono venuto al mondo: per rendere testimonianza alla Verità. Chi è amico della Verità ascolta la mia voce».
 «E che cosa è la Verità? Sei filosofo? Non serve di fronte alla morte. Socrate morì lo stesso».
 «Ma gli servì di fronte alla vita, a ben vivere. E anche a ben morire. E ad andare nella vita seconda senza nome di traditore delle civiche virtù».
 «Per Giove!». Pilato lo guarda ammirato qualche momento. Poi lo riprende il sarcasmo scettico. Fa un atto di noia, gli volge le spalle, torna verso i giudei. «Io non trovo in Lui alcuna colpa».
 La folla tumultua, presa dal panico di perdere la preda e lo spettacolo del supplizio. E urla: «È un ribelle!», «Un bestem­mia­tore», «Incoraggia il libertinaggio», «Eccita alla ribellio­ne», «Nega rispetto a Cesare», «Si finge profeta senza esserlo», «Compie magie», «È un satana», «Solleva il popolo con le sue dottrine insegnando in tutta la Giudea, alla quale è venuto dalla Galilea insegnando», «A morte!», «A morte!».
 «Galileo è? Galileo sei?». Pilato torna da Gesù: «Lo senti come ti accusano? Discolpati».
 Ma Gesù tace.


 604.24Pilato pensa… E decide. «Una centuria, e da Erode costui. Lo giudichi. È suo suddito. Riconosco il diritto del Tetrarca e al suo verdetto sottoscrivo in anticipo. Gli sia detto. Andate».
 E Gesù, inquadrato come un manigoldo da cento soldati, riattraversa la città e torna ad incontrare Giuda Iscariota, che già aveva incontrato una volta presso un mercato. Prima mi ero dimenticata di dirlo, presa dal disgusto della zuffa popolana. Lo stesso sguardo di pietà sul traditore…
 Ora è più difficile colpirlo con calci e bastoni, ma le pietre e le immondezze non mancano e, se i sassi cadono sonando senza ferire sugli elmi e le corazze romane, ben lasciano un segno colpendo Gesù, che procede col solo vestito, avendo lasciato il mantello nel Getsemani.
 Nell’entrare nel fastoso palazzo di Erode, Egli vede Cusa… che non sa guardarlo e che fugge per non vederlo in quello stato, coprendosi il capo col mantello.


 604.25Eccolo nella sala, davanti a Erode. E, dietro Lui, ecco gli scribi e i farisei, che qui si sentono a loro agio, entrare da accusatori mendaci. Solo il centurione con quattro militi lo scortano davanti al Tetrarca.
 Questo scende dal suo seggio e gira intorno a Gesù, mentre ascolta le accuse dei nemici suoi. E sorride e beffeggia. Poi finge una pietà e un rispetto che non turbano il Martire come non lo hanno turbato i motteggi.
 «Sei grande. Lo so. Ti ho seguito e ho avuto giubilo che Cusa ti fosse amico e Manaem discepolo. Io… le cure di Stato… Ma che desiderio di dirti: grande… di chiederti perdono… L’occhio di Giovanni… la sua voce mi accusano e sempre davanti a me sono. Tu sei il santo che annulla i peccati del mondo. Assolvimi, o Cristo».
 Gesù tace.
 «Ho sentito che ti accusano di esserti drizzato contro Roma. Ma non sei Tu la verga promessa per percuotere Assur?».
 Gesù tace.
 «Mi hanno detto che Tu profetizzi la fine del Tempio e di Gerusalemme. Ma non è eterno il Tempio come spirito, essendo voluto da Chi eterno è?».
 Gesù tace.
 «Sei folle? Hai perduto il potere? Satana ti inceppa la parola? Ti ha abbandonato?». Erode ride, ora.


 604.26Ma poi dà un ordine. E dei servi accorrono portando un levriere dalla gamba spezzata, che guaisce lamentosamente, e uno stalliere ebete dalla testa acquosa, sbavante, un aborto d’uomo, trastullo dei servi. Gli scribi e i sacerdoti fuggono urlando al sacrilegio, quando vedono la barella del cane. Erode, falso e beffardo, spiega: «È il preferito di Erodiade. Dono di Roma. Si è spezzato ieri una zampa ed ella piange. Comanda che guarisca. Fa’ miracolo».
 Gesù lo guarda severo. E tace.
 «Ti ho offeso? Allora questo. È un uomo, benché di poco sia più che una belva. Dàgli l’intelligenza, Tu, Intelligenza del Padre… Non dici così?». E ride, offensivo.
 Altro più severo sguardo di Gesù e silenzio.
 «Quest’uomo è troppo astinente e ora è intontito dagli spregi. Vino e donne, qui. E sia slegato».
 Lo slegano. E mentre servi, in gran numero, portano anfore e coppe, entrano danzatrici… coperte di niente: una frangia multicolore di lino cinge per unica veste la loro sottile persona, dalla cintura alle anche. Null’altro. Bronzee perché africane, snelle come gazzelle giovinette, iniziano una danza silenziosa e lasciva.
 Gesù respinge le coppe e chiude gli occhi senza parlare. La corte di Erode ride davanti al suo sdegno.
 «Prendi quella che vuoi. Vivi! Impara a vivere!…», insinua Erode.
 Gesù pare una statua. A braccia conserte, occhi serrati, non si scuote neppure quando le impudiche danzatrici lo sfiorano coi loro corpi nudi.
 «Basta. Ti ho trattato da Dio e non hai agito da Dio. Ti ho trattato da uomo e non hai agito da uomo. Sei folle. Una veste bianca. Rivestitelo di essa perché Ponzio Pilato sappia che il Tetrarca ha giudicato folle il suo suddito. Centurione, dirai al Proconsole che Erode gli umilia il suo rispetto e venera Roma. Andate».
 E Gesù, legato di nuovo, esce, con una tunica di lino, che gli giunge al ginocchio, sopra la rossa veste di lana.
 E tornano da Pilato.


 604.27Ora, quando la centuria fende a fatica la folla, che non si è stancata di attendere davanti al palazzo proconsolare — ed è strano vedere tanta folla in quel luogo e nelle vicinanze, mentre il resto della città appare vuoto di popolo — Gesù vede in gruppo i pastori, e sono al completo, ossia Isacco, Gionata, Levi, Giuseppe, Elia, Mattia, Giovanni, Simeone, Beniamino e Daniele, insieme ad un gruppetto di galilei di cui riconosco Alfeo e Giuseppe di Alfeo, insieme a due altri che non conosco ma che direi giudei alla acconciatura. E più oltre, scivolato fin dentro al vestibolo, seminascosto dietro una colonna, insieme ad un romano che direi un servo, vede Giovanni. Sorride a questo e a quelli… I suoi amici… Ma che sono questi pochi, e Giovanna e Manaem e Cusa, in mezzo ad un oceano di odio che bolle?…


 604.28Il centurione saluta Ponzio Pilato e riferisce.
 «Qui ancora?! Auf! Maledetta questa razza! Fate avanzare la plebaglia e portate qui l’Accusato. Euè! che noia!».
 Va verso la folla, sempre fermandosi a metà vestibolo.
 «Ebrei, udite. Mi avete condotto quest’uomo come sobillatore del popolo. Davanti a voi l’ho esaminato e non ho trovato in Lui nessuno dei delitti di cui lo accusate. Erode non più di me ha trovato. E a noi lo ha rimandato. Non merita la morte. Roma ha parlato. Però, per non dispiacervi levandovi il sollazzo, vi darò in cambio Barabba[13]. E Lui lo farò colpire con quaranta colpi di fustigazione. Basta così».
 «No, no! Non Barabba! Non Barabba! A Gesù la morte! E morte orrenda! Libera Barabba e condanna il Nazzareno».
 «Ma udite! Ho detto fustigazione. Non basta? Lo farò flagellare, allora! È atroce, sapete? Può morire per essa. Che ha fatto di male? Io non trovo nessuna colpa in Lui. E lo libererò».
 «Crocifiggi! Crocifiggi! A morte! Protettore dei delinquenti sei! Pagano! Satana tu pure!».
 La folla si fa sotto e la prima schiera di soldati ondeggia nel­l’urto, non potendo usare le aste. Ma la seconda fila, scendendo d’un gradino, rotea le aste e libera i compagni.
 «Sia flagellato», ordina Pilato a un centurione.
 «Quanto?».
 «Quanto ti pare… Tanto è affare finito. E io sono annoiato. Va’».


 604.29 Gesù viene tradotto da quattro soldati nel cortile oltre l’atrio. In esso, tutto selciato di marmi colorati, è al centro un’alta colonna simile a quella del porticato. A un tre metri dal suolo essa ha un braccio di ferro sporgente per almeno un metro e terminante in anello. A questa viene legato Gesù con le mani congiunte sull’alto del capo, dopo che fu fatto spogliare. Egli resta unicamente con delle piccole brache di lino e i sandali. Le mani legate ai polsi vengono alzate sino all’anello, di modo che Egli, per quanto sia alto, non poggia al suolo che la punta dei piedi… E deve essere tortura anche questa posizione. […]

♦ Estratto da «L’Evangelo come mi è stato rivelato» ♦ Copyright © Fondazione Erede di Maria Valtorta • ETS

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