
Dal Vangelo secondo Giovanni • Gv 13, 21-33. 36-38
In quel tempo, [mentre era a mensa con i suoi discepoli,] Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà».
I discepoli si guardavano l’un l’altro, non sapendo bene di chi parlasse. Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: «Signore, chi è?». Rispose Gesù: «È colui per il quale intingerò il boccone e glielo darò». E, intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda, figlio di Simone Iscariòta. Allora, dopo il boccone, Satana entrò in lui.
Gli disse dunque Gesù: «Quello che vuoi fare, fallo presto». Nessuno dei commensali capì perché gli avesse detto questo; alcuni infatti pensavano che, poiché Giuda teneva la cassa, Gesù gli avesse detto: «Compra quello che ci occorre per la festa», oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri. Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte.
Quando fu uscito, Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete ma, come ho detto ai Giudei, ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire».
Simon Pietro gli disse: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità io ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m’abbia rinnegato tre volte».
Maria Valtorta: «L’Evangelo come mi è stato rivelato»
Cap.594 • Martedì santo. Lezioni dal fico seccato. I quesiti sul tributo a Cesare e sulla risurrezione.
1 aprile 1947.
594.1 Stanno per rientrare in città, sempre per la stessa stradicciuola remota presa la mattina avanti, quasi che Gesù non volesse essere circondato dalla gente in attesa prima di essere nel Tempio, al quale presto si accede entrando in città dalla porta del Gregge che è vicina alla Probatica. Ma oggi molti dei settantadue lo attendono già al di là del Cedron, prima del ponte, e non appena lo vedono apparire fra gli ulivi verde-grigi, nella sua veste porpurea, gli vanno incontro. Si riuniscono e procedono verso la città.
Pietro, che guarda avanti, giù per la china, sempre in sospetto di veder apparire qualche malintenzionato, vede fra il verde fresco delle ultime pendici un ammasso di foglie vizze e pendenti che si spenzola sull’acqua del Cedron. Le foglie accartocciate e morenti, qua e là già macchiate come per ruggine, sono simili a quelle di una pianta che le fiamme hanno essiccata. Ogni tanto la brezza ne stacca una e la seppellisce nelle acque del torrente.
«Ma quello è il fico di ieri! Il fico che Tu hai maledetto!», grida Pietro, una mano puntata ad indicare la pianta seccata, la testa volta indietro a parlare al Maestro.
Accorrono tutti, meno Gesù che viene avanti col suo solito passo. Gli apostoli narrano ai discepoli il precedente del fatto che vedono e tutti insieme commentano guardando strabiliati Gesù. Hanno visto migliaia di miracoli su uomini ed elementi. Ma questo li colpisce come molti altri non lo hanno fatto.
594.2 Gesù, che è sopraggiunto, sorride nell’osservare quei visi stupiti e timorosi, e dice: «E che? Tanto vi fa meraviglia che per la mia parola sia seccato un fico? Non mi avete visto forse risuscitare i morti, guarire i lebbrosi, dar vista ai ciechi, moltiplicare i pani, calmare le tempeste, spegnere il fuoco? E vi stupisce che un fico dissecchi?».
«Non è per il fico. È che ieri era vegeto quando l’hai maledetto, e ora è seccato. Guarda! Friabile come argilla disseccata. I suoi rami non hanno più midollo. Guarda. Vanno in polvere», e Bartolomeo sfarina fra le dita dei rami che ha con facilità spezzato.
«Non hanno più midollo. Lo hai detto. Ed è la morte quando non c’è più midollo, sia in una pianta, che in una nazione, che in una religione, ma c’è soltanto dura corteccia e inutile fogliame: ferocia ed ipocrita esteriorità. Il midollo, bianco, interno, pieno di linfa, corrisponde alla santità, alla spiritualità. La corteccia dura e il fogliame inutile, all’umanità priva di vita spirituale e giusta. Guai a quelle religioni che divengono umane perché i loro sacerdoti e fedeli non hanno più vitale lo spirito. Guai a quelle nazioni i cui capi sono solo ferocia e risuonante clamore privo di idee fruttifere! Guai agli uomini in cui manca la vita dello spirito!».
«Però, se Tu avessi a dire questo ai grandi d’Israele, ancorché il tuo parlare sia giusto, non saresti sapiente. Non ti lusingare perché essi ti hanno finora lasciato parlare. Tu stesso lo dici che non è per conversione di cuore, ma per calcolo. Sappi allora Tu pure calcolare il valore e le conseguenze delle tue parole. Perché c’è anche la sapienza del mondo, oltre che la sapienza dello spirito. E occorre saperla usare a nostro vantaggio. Perché, infine, per ora si è nel mondo, non già nel Regno di Dio», dice l’Iscariota senza acredine ma in tono dottorale.
«Il vero sapiente è colui che sa vedere le cose senza che le ombre della propria sensualità e le riflessioni del calcolo le alterino. Io dirò sempre la verità di ciò che vedo».
594.3 «Ma insomma questo fico è morto perché sei stato Tu a maledirlo, o è un… caso… un segno… non so?», chiede Filippo.
«È tutto ciò che tu dici. Ma ciò che Io ho fatto voi pure potrete fare, se giungerete ad avere la fede perfetta. Abbiatela nel Signore altissimo. E quando l’avrete, in verità vi dico che potrete questo e ancor più. In verità vi dico che, se uno giungerà ad avere la fiducia perfetta nella forza della preghiera e nella bontà del Signore, potrà dire a questo monte: “Spostati di qua e gettati in mare”, e se dicendolo non esiterà nel suo cuore, ma crederà che quanto egli ordina si possa avverare, quanto ha detto si avvererà».
«E sembreremo dei maghi e saremo lapidati, come è detto per chi esercita magia. Sarebbe un miracolo ben stolto, e a nostro danno!», dice l’Iscariota crollando il capo.
«Stolto tu sei, che non capisci la parabola!», gli rimbecca l’altro Giuda.
Gesù non parla a Giuda. Parla a tutti: «Io vi dico, ed è vecchia lezione che ripeto in quest’ora: qualunque cosa chiederete con la preghiera, abbiate fede di ottenerla e l’avrete. Ma se prima di pregare avete qualcosa contro qualcuno, prima perdonate e fate pace per aver amico il Padre vostro che è nei Cieli, che tanto, tanto vi perdona e benefica, dalla mattina alla sera e dal tramonto all’aurora».
594.4 Entrano nel Tempio. I soldati dell’Antonia li osservano passare. Vanno ad adorare il Signore, poi tornano nel cortile dove i rabbi insegnano.
Subito verso Gesù, prima ancora che la gente accorra e si affolli intorno a Lui, si avvicinano dei saforim, dei dottori d’Israele e degli erodiani, e con bugiardo ossequio, dopo averlo salutato, gli dicono: «Maestro, noi sappiamo che Tu sei sapiente e veritiero, e insegni la via di Dio senza tener conto di cosa o persona alcuna, fuorché della verità e giustizia, e poco ti curi del giudizio degli altri su Te, ma soltanto di condurre gli uomini al Bene. Dicci allora: è lecito pagare il tributo a Cesare, oppure non è lecito farlo? Che te ne pare?».
Gesù li guarda con uno di quei suoi sguardi di una penetrante e solenne perspicacia, e risponde: «Perché mi tentate ipocritamente? Eppure alcuno fra voi sa che Io non vengo ingannato con ipocriti onori! Ma mostratemi una moneta, di quelle usate per il tributo».
Gli mostrano una moneta. La osserva nel retto e nel verso e, tenendola appoggiata sul palmo della sinistra, vi batte sopra l’indice della destra dicendo: «Di chi è quest’immagine e che dice questa scrittura?».
«Di Cesare è l’immagine, e l’iscrizione porta il suo nome. Il nome di Caio Tiberio Cesare, che è ora imperatore di Roma».
«E allora rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio date quel che è di Dio», e volge loro le spalle dopo aver reso il denaro a chi glielo aveva dato.
594.5 Ascolta questo e quello dei molti pellegrini che lo interrogano, conforta, assolve, guarisce. Passano le ore.
Esce dal Tempio per andare forse fuori porta, a prendere il cibo che gli portano i servi di Lazzaro incaricati a questo.
Rientra nel Tempio che è pomeriggio. Instancabile. Grazia e sapienza fluiscono dalle sue mani posate sugli infermi, dalle sue labbra in singoli consigli dati ai molti che lo avvicinano. Sembra che voglia tutti consolare, tutti guarire, prima di non poterlo più fare.
È già quasi il tramonto e gli apostoli, stanchi, stanno seduti per terra sotto il portico, sbalorditi da quel continuo rimuoversi di folla che sono i cortili del Tempio nell’imminenza pasquale, quando all’Instancabile si avvicinano dei ricchi, certo ricchi a giudicare dalle vesti pompose.
Matteo, che sonnecchia con un occhio solo, si alza scuotendo gli altri. Dice: «Vanno dal Maestro dei sadducei. Non lasciamolo solo, che non lo offendano o cerchino di nuocergli e di schernirlo ancora».
Si alzano tutti raggiungendo il Maestro, che circondano subito. Credo intuire che ci sono state rappresaglie nell’andare o tornare al Tempio a sesta.
594.6 I sadducei, che ossequiano Gesù con inchini persino esagerati, gli dicono: «Maestro, hai risposto così sapientemente agli erodiani che ci è venuto desiderio di
avere noi pure un raggio della tua luce. Senti. Mosè ha detto [143] : “Se uno muore senza figli, il suo fratello sposi la vedova, dando discendenza al fratello”. Ora c’erano fra noi sette fratelli. Il primo, presa in moglie una vergine, morì senza lasciar prole e perciò lasciò la moglie al fratello. Anche il secondo morì senza lasciar prole, e così il terzo che sposò la vedova dei due che lo precederono, e così sempre, sino al settimo. In ultimo, dopo aver sposato tutti i sette fratelli, morì la donna. Di’ a noi: alla risurrezione dei corpi, se è pur vero che gli uomini risorgono e che a noi sopravviva l’anima e si ricongiunga al corpo all’ultimo giorno riformando i viventi, quale dei sette fratelli avrà la donna, posto che l’ebbero sulla Terra tutti e sette?».
«Voi sbagliate. Non sapete comprendere né le Scritture né la potenza di Dio. Molto diversa sarà l’altra vita da questa, e nel Regno eterno non saranno le necessità della carne come in questo. Perché, in verità, dopo il Giudizio finale la carne risorgerà e si riunirà all’anima immortale riformando un tutto, vivo come e meglio che non sia viva la mia e la vostra persona ora, ma non più soggetto alle leggi e soprattutto agli stimoli e abusi che vigono ora. Nella risurrezione, gli uomini e le donne non si ammoglieranno né si mariteranno, ma saranno simili agli angeli di Dio in Cielo, i quali non si ammogliano né si maritano, pur vivendo nell’amore perfetto che è quello divino e spirituale. In quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto come Dio dal roveto parlò a Mosè? Che disse l’Altissimo allora? “Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe”. Non disse: “Io fui”, facendo capire che Abramo, Isacco e Giacobbe erano stati ma non erano più. Disse: “Io sono”. Perché Abramo, Isacco e Giacobbe sono. Immortali. Come tutti gli uomini nella parte immortale, sino a che i secoli durano, e poi, anche con la carne risorta per l’eternità. Sono, come lo è Mosè, i profeti, i giusti, come sventuratamente è Caino e sono quelli del diluvio, e i sodomiti, e tutti coloro morti in colpa mortale. Dio non è il Dio dei morti, ma dei vivi».
594.7 «Anche Tu morrai e poi sarai vivente?», lo tentano. Sono già stanchi di essere miti. L’astio è tale che non sanno contenersi.
«Io sono il Vivente e la mia Carne non conoscerà sfacimento. L’arca ci fu levata e l’attuale sarà levata anche come simbolo. Il Tabernacolo ci fu tolto e sarà distrutto. Ma il vero Tempio di Dio non potrà essere levato e distrutto. Quando i suoi avversari crederanno di averlo fatto, allora sarà l’ora che si stabilirà nella vera Gerusalemme, in tutta la sua gloria. Addio».
E si affretta verso il cortile degli Israeliti, perché le tube d’argento chiamano al sacrificio della sera.
594.8 Mi dice Gesù:
«Così come ti ho fatto segnare la frase “al mio calice [144] ” nella visione della madre di Giovanni e Giacomo chiedente un posto per i suoi figli, così ti dico di segnare nella visione di ieri il punto: “chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà”. Nelle traduzioni è sempre usato “sopra”. Ho detto contro e non sopra. Ed è profezia contro i nemici della mia Chiesa. Coloro che l’avversano, avventandosi contro ad Essa, perché Essa è la Pietra
angolare, saranno sfracellati [145] . La storia della Terra, da venti secoli, conferma il mio detto. I persecutori della Chiesa si sfracellano avventandosi sulla Pietra angolare. Però anche, e lo tengano presente anche quelli che per essere della Chiesa si credono salvi dai castighi divini, colui sul quale cadrà il peso della condanna del Capo e Sposo di questa mia Sposa, di questo mio Corpo mistico, colui sarà stritolato.
594.9 E prevenendo ad una obbiezione dei sempre viventi scribi e sadducei, malevoli ai servi miei, Io dico: se in queste ultime visioni risultano frasi che non sono nei Vangeli, quali queste della fine della visione di oggi e del punto in cui Io parlo sul fico seccato e altri ancora, ricordino costoro che gli evangelisti erano sempre di quel popolo, e vivevano in tempi nei quali ogni urto troppo vivo poteva avere ripercussioni violente e nocive ai neofiti.
Rileggano gli atti apostolici e vedranno che non era placida la fusione di tanti pensieri diversi, e che se a vicenda si ammirarono, riconoscendo gli uni agli altri i meriti, non mancarono fra loro i dissensi, perché vari sono i pensieri degli uomini e sempre imperfetti. E ad evitare più profonde fratture fra l’uno e l’altro pensiero, illuminati dallo Spirito Santo, gli evangelisti omisero volutamente dai loro scritti qualche frase che avrebbe scosso le eccessive suscettibilità degli ebrei e scandalizzato i gentili, che avevano bisogno di credere perfetti gli ebrei, nucleo dal quale venne la Chiesa, per non allontanarsene dicendo: “Sono simili a noi”. Conoscere le persecuzioni di Cristo, sì. Ma le malattie spirituali del popolo di Israele ormai corrotto, specie nelle classi più alte, no. Non era bene. E più che poterono velarono.
Osservino come i Vangeli si fanno sempre più espliciti, sino al limpido Vangelo del mio Giovanni, più furono scritti in epoche lontane dalla mia Ascensione al Padre mio. Solo Giovanni riporta interamente anche le macchie più dolorose dello stesso nucleo apostolico, chiamando apertamente “ladro” Giuda, e riferisce integralmente le bassezze dei giudei (cap. 6° – finta volontà di farmi re, le dispute al Tempio, l’abbandono di molti dopo il discorso sul Pane del Cielo, l’incredulità di Tommaso). Ultimo sopravvissuto, vissuto sino a vedere già forte la Chiesa, alza i veli che gli altri non avevano osato alzare.
Ma ora lo Spirito di Dio vuole conosciute anche queste parole. E ne benedicano il Signore, perché sono tante luci e tante guide per i giusti di cuore».
594.10 «Metterai qui la seconda parte del martedì, ossia l’istruzione notturna ai Dodici nel Getsemani».
[143] ha detto, in: Deuteronomio 25, 5-6; dal roveto parlò, in: Esodo 3, 1-6.
[144] al mio calice, in 577.11; contro questa pietra, in 592.17.
[145] saranno sfracellati, invece di viene sfracellato, è correzione di MV su una copia dattiloscritta.
Cap.595 • Martedì notte al Getsemani con gli apostoli.
7 marzo 1945.
595.1 «Voi oggi avete udito parlare gentili e giudei. E avete visto come i primi a Me si inchinassero ed i secondi per poco non mi percuotessero. Tu, Pietro, per poco vieni alle mani, vedendo che ad arte mi venivano mandati contro agnelli, arieti e giovenchi per farmi crollare al suolo fra gli escrementi. Tu, Simone, pur tanto prudente come sei, hai aperto la bocca all’insulto verso i membri più astiosi del Sinedrio, che villanamente mi urtavano dicendomi: “Scansati, demonio, mentre passano i messi di Dio”. Tu, Giuda, cugino, e tu Giovanni, mio prediletto, avete urlato e svelti mi avete sottratto, l’uno dall’essere investito prendendo il cavallo alle briglie, l’altro mettendosi a Me davanti e ricevendo l’urto della stanga a Me diretto quando, con riso di scherno, Sadoch mi è marciato addosso col suo pesante carro, spinto volutamente in corsa veloce su Me. Io vi
ringrazio del vostro amore, che vi fa insorgere [146] contro gli offensori dell’Inerme. Ma vedrete ben altre offese ed atti crudeli. Quando questa luna riderà in cielo per la seconda volta dopo questa sera, le offese, per ora verbali o appena abbozzate se materiali, diverranno concrete, più fitte dei fiori che ora sono sugli alberi da frutto, e sempre più vi si affollano per fretta di fiorire.
595.2 Avete visto — e vi siete stupiti — un fico seccato e tutto un pometo senza fiori. Il fico, come Israele, ha negato ristoro al Figlio dell’uomo ed è morto nel suo peccato. Il pometo, come i gentili, attende l’ora che oggi ho detto, per fiorire e annullare l’ultimo ricordo della ferocia umana con la dolcezza dei fiori profusi sul capo e sotto i piedi del Vincitore».
«Quale ora, Maestro?», domanda Matteo. «Hai parlato tanto e di tante cose oggi! Non ricordo bene. E vorrei tutto ricordare. Forse l’ora del ritorno di Cristo? Anche qui hai parlato di rami che si fanno teneri e mettono foglie».
«Ma no!», esclama Tommaso. «Il Maestro parla come se questa congiura che lo attende sia imminente. Come può allora in poco tempo avvenire tutto quello che Egli
dice [147] precedere il suo ritorno? Guerre, distruzioni, schiavitù, persecuzioni, vangelo predicato a tutto il mondo, desolazione di abominazione nella casa di Dio, e poi terremoti, pesti, falsi profeti, segni nel sole e nelle stelle… Eh! ci vogliono secoli a fare tutto questo! Starebbe fresco quel padrone del pometo se il suo orto avesse ad attendere quell’ora per fiorire!».
«Non mangerebbe più i suoi pomi, perché io dico che sarà la fine del mondo, allora», commenta Bartolomeo.
«Per compiere la fine del mondo non occorrerebbe che un pensiero di Dio e tutto tornerebbe nel nulla. Perciò potrebbe anche quel pometo poco avere da attendere. Ma come ho detto avverrà. E perciò vi saranno secoli da questo a quello. Ossia al definitivo trionfo e ritorno del Cristo», spiega Gesù.
«E allora? Che ora?».
«Oh! io la so l’ora!», piange Giovanni. «Io la so. E sarà dopo la tua morte e la tua risurrezione!…», e Giovanni lo abbraccia stretto.
«E piangi se risorge?», motteggia Giuda Iscariota.
«Piango perché prima ha da morire.
595.3 Non schernirmi, demonio. Io capisco. E non posso pensare a quell’ora».
«Maestro! Mi ha detto demonio. Ha peccato contro il compagno».
«Giuda, sai di non meritarlo? E allora non te la prendere per la sua colpa. Io pure sono stato chiamato “demonio” e lo sarò ancora chiamato così».
«Ma Tu hai detto che chi insulta il fratello è colpev…».
«Silenzio. Davanti alla morte finiscano finalmente queste odiose accuse, dispute e menzogne. Non turbate chi muore».
«Perdonami, Gesù», mormora Giovanni. «Ho sentito rivoltarsi qualcosa in me al suono del suo ridere… e non ho potuto trattenermi». Giovanni è tutto abbracciato, petto a petto, a Gesù e gli piange sul cuore.
«Non piangere. Ti capisco. Lasciami parlare».
Ma Giovanni non si stacca da Gesù neppure quando Egli si siede su un radicone sporgente. Gli resta con un braccio dietro la schiena e uno intorno al petto e la testa sulla spalla, e piange senza rumore. Solo brillano al raggio della luna le gocce del suo pianto, che cadono sulla veste porpurea di Gesù e sembrano rubini, gocce di pallido sangue colpite da una luce.
595.4 «Voi avete udito parlare giudei e gentili, oggi. Non vi deve dunque stupire se Io
dico [148] : “Dalla mia bocca è uscita parola di giustizia, sempre. E non sarà revocata”. Se dirò, sempre con Isaia, parlando dei gentili che a Me verranno dopo che sarò innalzato da terra: “Dinanzi a Me piegherà ogni ginocchio, per Me e in Me giurerà ogni lingua”. E ancora non dubiterete, dopo che avete notato i modi dei giudei, che è facile dire senza tema di errore che a Me saranno condotti svergognati tutti quelli che mi si oppongono.
Il Padre mio non mi ha fatto suo servo solo per fare rivivere le tribù di Giacobbe, per convertire ciò che rimane di Israele: i resti, ma mi ha donato a luce delle Nazioni affinché Io sia il “Salvatore” per tutta quanta la Terra. Per questo, in questi trentatré anni di esilio dal Cielo e dal seno del Padre, Io ho continuato a crescere in Grazia e Sapienza presso Dio e presso gli uomini, raggiungendo l’età perfetta, e in questi ultimi tre anni, dopo avere arroventato l’anima e la mente mia nel fuoco dell’amore e averla temprata col gelo della penitenza, ho fatto “della mia bocca come una spada tagliente”.
595.5 Il Padre santo, che è mio e vostro, mi ha fin qui custodito sotto l’ombra della sua mano, perché ancora non era l’ora dell’Espiazione. Ora mi lascia andare. La freccia scelta, la freccia della sua divina faretra, dopo aver ferito per sanare, ferito gli uomini per far breccia nei cuori alla Parola e alla Luce di Dio, ora va rapida e sicura a ferire la Seconda Persona, l’Espiatore, l’Ubbidiente per tutto Adamo disubbidiente… E come guerriero colpito Io cado, dicendo per troppi: “Invano Io mi sono affaticato senza ragione, senza nulla ottenere. Ho consumato le mie forze per nulla”.
Ma no! No, per il Signore eterno che non fa mai nulla senza scopo! Indietro Satana che mi vuoi piegare allo sconforto e tentare alla disubbidienza! All’alfa e all’omega del mio ministero tu sei venuto e vieni. Ebbene, ecco, Io mi levo (e realmente si alza in piedi) a battaglia. Mi misuro con te. E, lo giuro a Me stesso, ti vincerò. Non è orgoglio dirlo. È verità. Il Figlio dell’uomo sarà nella sua carne vinto dall’uomo, il miserabile verme che morde e avvelena dal suo fango putrido. Ma il Figlio di Dio, la Seconda Persona della inesprimibile Triade, non sarà vinta da Satana. Tu sei l’Odio. E sei potente nel tuo odiare e nel tuo tentare. Ma con Me sarà una forza che ti sfugge, perché tu non la puoi raggiungere e non la puoi fissare. L’Amore è con Me!
595.6 So la sconosciuta tortura che mi attende. Non quella che domani vi dirò, perché sappiate che nulla di quanto per Me o intorno a Me si faceva e si agitava, che nulla di quanto in cuor vostro si formava, mi era ignoto. Ma l’altra tortura… Quella che non da lance e bastoni, non da scherni e percosse vien data al Figlio dell’uomo, ma da Dio stesso, e che non sarà conosciuta che da pochi per quello che realmente sarà di atroce, e accettata per possibile da ancor meno. Ma in quella tortura, in cui due saranno i principali torturatori: Dio con la sua assenza e tu, demonio, con la tua presenza, la Vittima avrà seco l’Amore. L’Amore vivente nella Vittima, forza prima della sua resistenza alla prova, e l’Amore nel confortatore spirituale, che già palpita le sue ali d’oro per ansia di scendere ad asciugare i miei sudori, e raccoglie tutte le lacrime degli angeli nel celeste calice e vi stempera il miele dei nomi dei miei redenti e amanti, per temperare con quella bevanda la grande sete del Torturato e la sua amarezza senza misura.
E tu sarai vinto, demonio. Un giorno, uscendo da un ossesso, mi hai detto [149] : “Aspetto a vincerti quando sarai Tu uno sbrendolo di carne sanguinante”. Ma Io ti rispondo: “Non mi avrai. Io vinco. La mia fatica fu santa, la mia causa è presso il Padre mio. Egli difende l’operato del suo Figlio e non permetterà che defletta lo spirito mio”.
Padre, Io ti dico, fin da ora ti dico per quell’ora atroce: “Nelle tue mani abbandono lo spirito mio”.
595.7 Giovanni, non mi lasciare… Voi andate. La pace del Signore sia dove non è ospite Satana. Addio».
Tutto ha termine.
[146] vi fa insorgere, come si intuisce nell’ultimo capoverso di 594.5.
[147] quello che Egli dice, avendo già accennato (per esempio, in 265.7/10) ai temi del discorso escatologico che deve ancora fare.
[148] dico, inizio di citazioni o allusioni riferite a: Isaia 45, 23-25; 49, 2-6.
[149] mi hai detto, in 420.6.
♦ Estratto da «L’Evangelo come mi è stato rivelato» ♦ Copyright © Fondazione Erede di Maria Valtorta • ETS
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