Dal Vangelo secondo Luca • Lc 2,22-40
Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore, come è scritto nella Legge del Signore: ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore; e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o di giovani colombi, come prescrive la Legge del Signore.
Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d’Israele; lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore. Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge, lo prese tra le braccia e benedisse Dio: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele».
Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l’anima». C’era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza, era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere. Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.
Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazaret. Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.
Maria Valtorta: «L’Evangelo come mi è stato rivelato»
VOLUME I CAPITOLO 32
XXXII. Presentazione di Gesù al Tempio. La virtù di Simeone e la profezia di Anna.
1 febbraio 1944.
32.1Vedo partire da una casetta modestissima una coppia di persone. Da una scaletta esterna scende una giovanissima madre con un bambino fra le braccia, avvolto in un panno bianco.
Riconosco questa Mamma nostra. È sempre Lei, pallida e bionda, snella e tanto gentile in ogni suo atto. È vestita di bianco, col manto in cui si avvolge di un pallido azzurro. Sul capo un velo bianco. Porta con tanta cura il suo Bambino.
Ai piedi della scaletta l’attende Giuseppe presso ad un ciuchino bigio. Giuseppe è vestito tutto di color marrone chiaro, sia nella tunica che nel mantello. Guarda Maria e le sorride. Quando Maria giunge presso il ciuchino, Giuseppe si passa la briglia dell’asinello sul braccio sinistro e prende per un momento il Bambino, che dorme tranquillo, per permettere a Maria di accomodarsi meglio sulla sella del ciuchino. Poi le rende Gesù e si incamminano.
Giuseppe cammina al fianco di Maria, tenendo sempre per la briglia il somarello e facendo attenzione che questo vada dritto e senza inciampi. Maria tiene in grembo Gesù e, come per tema che il freddo gli possa nuocere, gli stende addosso un lembo del suo mantello. Parlano pochissimo i due sposi, ma si sorridono sovente.
La strada, che non è un modello stradale, si snoda fra una campagna che la stagione fa nuda. Qualche altro viaggiatore si scontra coi due o li raggiunge, ma sono rari.
32.2Poi ecco delle case che si mostrano e delle mura che serrano una città. I due sposi entrano in essa da una porta e comincia il percorso sul selciato (molto sconnesso) cittadino. Il cammino diviene molto più difficile, sia perché vi è del traffico che fa fermare tutti i momenti il ciuchino, sia perché lo stesso sulle pietre e sulle buche che sostituiscono le pietre mancanti ha continue scosse, che disturbano Maria e il Bambino.
La strada non è piana. Sale, sebbene lievemente. È stretta fra case alte dalle porticine strette e basse e dalle rade finestre sulla via. In alto il cielo si affaccia con tante fettine di azzurro fra case e case, anzi fra terrazze e terrazze. In basso sulla via vi è gente e vocio, e si incrociano altre persone a piedi, o su somarelli, o conducenti somarelli carichi, e altre dietro ad una ingombrante carovana di cammelli. Ad un certo punto passa con molto rumore di zoccoli e di armi una pattuglia di legionari romani, che scompaiono oltre un arco posto a cavalcione di una via molto stretta e sassosa.
Giuseppe piega a sinistra e prende una via più larga e più bella. Vedo la cinta merlata, che già conosco, in fondo ad essa.
Maria smonta dal ciuchino presso la porta dove è una specie di posteggio per altri somarelli. Dico «posteggio» perché è una specie di capannone, meglio, di tettoia, dove è paglia sparsa e dei paletti con degli anelli per legare i quadrupedi.
Giuseppe dà alcune monete ad un ometto accorso e con esse acquista un poco di fieno, e attinge un secchio d’acqua da un pozzo rudimentale che è in un angolo, e li dà al ciuchino. Poi raggiunge Maria ed ambedue entrano nel recinto del Tempio.
32.3Si dirigono prima verso un porticato, dove vi sono quelli che Gesù poi fustigò egregiamente: i venditori di tortore e agnelli e i cambiavalute. Giuseppe acquista due colombini bianchi. Non cambia il denaro. Si capisce che ha già quello che gli occorre.
Giuseppe e Maria si dirigono ad una porta laterale che ha otto gradini, come mi pare abbiano tutte le porte, quasi che il cubo del Tempio sia sopraelevato dal resto del suolo. Questa porta ha un grande atrio, come i portoni delle nostre case di città, per darle un’idea, ma più vasto e ornato. In esso vi sono a destra e a sinistra due specie di altari, ossia due costruzioni rettangolari, di cui sul principio non capisco bene lo scopo. Sembrano delle basse conche, perché l’interno è più basso dell’orlo esterno, che si sopraeleva di qualche centimetro.
Non so se chiamato da Giuseppe o se venuto di suo, accorre un sacerdote. Maria offre i due poveri colombi ed io, che capisco la loro sorte, volgo altrove lo sguardo. Osservo gli ornati del pesantissimo portale, del soffitto, dell’atrio. Mi pare però di vedere, con la coda dell’occhio, che il sacerdote asperga Maria con dell’acqua. Deve essere acqua, perché non vedo macchie sul suo abito. Poi Maria, che insieme ai colombini aveva dato un mucchietto di monete al sacerdote (mi ero dimenticata di dirlo) entra con Giuseppe nel Tempio vero e proprio, accompagnata dal sacerdote.
Io guardo da tutte le parti. È un luogo ornatissimo. Sculture a teste d’angeli e palme e ornati corrono sulle colonne, le pareti e il soffitto. La luce penetra da curiose finestre lunghe, strette, naturalmente senza vetri, e tagliate diagonalmente alla parete. Suppongo che sia per impedire agli acquazzoni di entrare.
32.4Maria si inoltra sino ad un certo punto. Poi si arresta. A qualche metro da Lei vi sono degli altri gradini e su questi sta un’altra specie di altare, oltre il quale vi è un’altra costruzione.
Mi accorgo che credevo essere nel Tempio e invece ero in ciò che contorna il Tempio vero e proprio, ossia il Santo, oltre il quale pare che nessuno, fuorché i sacerdoti, possano entrare. Quello che io credevo Tempio non è perciò che un chiuso vestibolo, che da tre parti cinge il Tempio, dove è chiuso il Tabernacolo. Non so se mi sono spiegata per bene. Ma non sono architetto o ingegnere.
Maria offre il Bambino — che si è svegliato e gira i suoi occhietti innocenti intorno con lo sguardo stupito degli infanti di pochi giorni — al sacerdote. Questo lo prende sulle braccia e lo solleva a braccia tese, volto verso il Tempio, stando contro a quella specie di altare che sta su quei gradini. Il rito è compiuto. Il Bambino viene restituito alla Mamma e il sacerdote se ne va.
32.5Vi è della gente che guarda curiosa. Fra questa si fa largo un vecchietto curvo e arrancante, che si appoggia ad un bastone. Deve essere molto vecchio, direi certo oltre gli ottant’anni. Egli si accosta a Maria e le chiede di dargli per un attimo il Piccino. Maria lo accontenta sorridendo.
Simeone, che io ho sempre creduto appartenesse alla casta sacerdotale e invece è un semplice fedele, almeno a giudicare dalla veste, lo prende, lo bacia. Gesù gli sorride con la smorfietta incerta dei poppanti. Sembra che lo osservi curioso, perché il vecchietto piange e ride insieme, e le lacrime fanno tutto un ricamo di luccichii insinuandosi fra le rughe e imperlando la barba lunga e bianca, verso la quale Gesù tende le manine. È Gesù, ma è sempre un bambinello, e ciò che gli si muove davanti attira la sua attenzione e gli dà velleità di afferrare quella cosa per capire meglio cosa è. Maria e Giuseppe sorridono, e anche i presenti, che lodano la bellezza del Piccino.
Sento le parole[71] del santo vecchio e vedo lo sguardo stupito di Giuseppe, quello commosso di Maria, e anche quelli della piccola folla, in parte stupita e commossa e in parte, alle parole del vecchio, presa da ilarità. Fra questi vi sono dei barbuti e tronfi sinedristi, che scuotono il capo, guardando Simeone con compatimento ironico. Lo devono pensare andato fuor di cervello per l’età.
32.6Il sorriso di Maria si spegne in un più vivo pallore quando Simeone le annuncia il dolore. Per quanto Ella sappia, questa parola le trafigge lo spirito. Si avvicina di più a Giuseppe, Maria, per confortarsi, si stringe con passione il suo Bambino al seno e beve, come anima assetata, le parole di Anna[72], a sua volta sopraggiunta, la quale, donna come è, ha pietà del suo soffrire e le promette che l’Eterno le addolcirà di una forza soprannaturale l’ora del dolore. «Donna, a Chi ha dato il Salvatore al suo popolo non mancherà il potere di dare il suo angelo a confortare il tuo pianto. Non è mai mancato l’aiuto del Signore alle grandi donne d’Israele, e tu sei ben più di Giuditta e di Giaele. Il nostro Dio ti darà cuore di oro purissimo per resistere al mare di dolore, per cui sarai la più grande Donna della creazione, la Madre. E tu, Bambino, ricordati di me nell’ora della tua missione».
E qui mi cessa la visione.
2 febbraio 1944.
32.7Dice Gesù:
«Due insegnamenti per tutti sgorgano dalla descrizione che hai data.
Il primo: non al sacerdote immerso nei riti ma con lo spirito assente, sibbene ad un semplice fedele si svela la verità.
Il sacerdote, sempre a contatto con la Divinità, volto alla cura di quanto ha attinenza con Dio, dedicato a tutto quanto è più alto della carne, avrebbe dovuto intuire subito chi era il Bambino che veniva offerto al Tempio quella mattina. Ma, perché potesse intuire, occorreva che avesse uno spirito vivo. Non unicamente una veste ricoprente uno spirito, se non morto, molto assonnato.
Lo Spirito di Dio può, se vuole, tuonare e scuotere come folgore e terremoto anche lo spirito più ottuso. Lo può. Ma generalmente, poiché è Spirito di ordine come è ordine Dio in ogni sua Persona e modo di agire, Esso si effonde e parla non dico dove è merito sufficiente a ricevere la sua effusione — allora ben poche volte si effonderebbe, e tu pure non ne conosceresti le luci — ma là dove vede la “buona volontà” di meritare la sua effusione.
Come si esplica questa buona volontà? Con una vita fatta, per quanto vi è possibile, tutta di Dio. Nella fede, nell’ubbidienza, nella purezza, nella carità, nella generosità, nella preghiera. Non nelle pratiche, nella preghiera. Vi è differenza minore fra la notte e il giorno che non fra le pratiche e la preghiera. Questa è comunione di spirito con Dio, dalla quale uscite rinvigoriti e decisi a sempre più essere di Dio. L’altra è una abitudine qualunque, fatta per scopi diversi ma sempre egoisti, la quale vi lascia quelli che siete, anzi vi aggrava di una colpa di menzogna e di accidia.
32.8Simeone aveva questa buona volontà. La vita non gli aveva risparmiato affanni e prove. Ma egli non aveva perduto la sua buona volontà. Gli anni e le vicende non avevano intaccato e scosso la sua fede nel Signore, nelle sue promesse, e non avevano stancato la sua buona volontà d’esser sempre più degno di Dio. E Dio, prima che gli occhi del servo fedele si chiudessero alla luce del sole, in attesa di riaprirsi al Sole di Dio rutilante dai Cieli aperti al mio salire dopo il Martirio, gli mandò il raggio dello Spirito che lo guidasse al Tempio, per vedere la Luce venuta al mondo.
“Mosso da Spirito Santo”, dice il Vangelo. Oh! se gli uomini sapessero quale Amico perfetto è lo Spirito Santo, quale Guida, quale Maestro! Se lo amassero e lo invocassero, questo Amore della Ss. Trinità, questa Luce della Luce, questo Fuoco del Fuoco, questa Intelligenza, questa Sapienza! Quanto più saprebbero di ciò che è necessario sapere!
Vedi, Maria; vedete, figli. Simeone ha atteso tutta una lunga vita di “vedere la Luce”, di sapere compiuta la promessa di Dio. Ma non ha mai dubitato. Non si è mai detto: “È inutile che io perseveri nello sperare e nel pregare”. Ha perseverato. E ha ottenuto di “vedere” ciò che non videro il sacerdote e i sinedristi pieni di superbia e di opacità: il Figlio di Dio, il Messia, il Salvatore in quelle carni infantili che gli davano tepore e sorrisi. Ha avuto il sorriso di Dio, primo premio della sua vita onesta e pia, attraverso le mie labbra di Bambino.
32.9Seconda lezione: le parole di Anna. Anche ella, profetessa, vede in Me, neonato, il Messia. E questo, data la sua capacità di profezia, è naturale. Ma ascolta, ascoltate ciò che, spinta da fede e da carità, dice a mia Madre. E fatevene luce al vostro spirito, che trema in questo tempo di tenebre e in questa festa della Luce. “A Chi ha dato un Salvatore non mancherà il potere di dare il suo angelo a confortare il tuo, il vostro pianto”.
Pensate che Dio ha dato Se stesso per annullare l’opera di Satana negli spiriti. E non potrà vincere ora i satana che vi torturano? Non potrà asciugare il vostro pianto, sgominando questi satana e mandando da capo la pace del suo Cristo? Perché non glielo chiedete, con fede? Fede vera, prepotente, una fede davanti alla quale il rigore di Dio, sdegnato da tante vostre colpe, cada con un sorriso e venga il perdono che è aiuto, e venga la sua benedizione ad essere arcobaleno su questa Terra che si sommerge in un diluvio di sangue voluto da voi stessi?
Pensate: il Padre, dopo aver punito gli uomini col diluvio, disse[73] a Se stesso e al suo patriarca: “Io non maledirò più la Terra a causa degli uomini, perché i sensi e i pensieri del cuore umano sono inclinati al male fin dall’adolescenza; quindi non colpirò più ogni vivente come ho fatto”. Ed è stato fedele alla sua parola. Non ha più mandato il diluvio. Ma voi quante volte vi siete detti, e avete detto a Dio: “Se ci salviamo questa volta, se ci salvi, non faremo mai più guerre, mai più”, e poi ne avete sempre fatte di più tremende? Quante volte, o falsi e senza rispetto per il Signore e per la parola vostra? Eppure Dio vi aiuterebbe ancora una volta, se la gran massa dei fedeli lo chiamasse con fede e amore prepotente.
Mettete — o voi tutti che, troppo pochi per controbilanciare i molti che mantengono vivo il rigore di Dio, rimanete però a Lui devoti nonostante l’ora tremenda che incombe e cresce di attimo in attimo — mettete il vostro affanno ai piedi di Dio. Egli saprà mandarvi il suo angelo come ha mandato il Salvatore al mondo. Non temete. State uniti alla Croce. Essa ha vinto sempre le insidie del demonio, che viene con la ferocia degli uomini e le tristezze della vita a cercare di piegare alla disperazione, ossia alla separazione da Dio, i cuori che non può prendere in altra maniera».
QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 196
5 dicembre 1943
(alle 2 antimeridiane)
Dice Gesù:
«Io non sono venuto[654] a negare la Legge e i Profeti ma a confermarla e a perfezionarla modificando quelle inesattezze e soprastrutture che l’uomo vi aveva messo, parte per imperfezione propria e parte per umanità superiore all’anima.
L’uomo è portato a male intendere. Non è perfetto nei suoi sensi mistici e nei suoi sensi naturali. Solo vivendo in Me perfeziona i primi, essendo allora Io che opero in lui. L’uomo è anche portato a complicare le cose perché, nella sua tenace e indistruttibile superbia, è sempre attirato dalla seduzione di ritoccare anche l’opera di Dio.
Siete dèi[655] essendo figli di Dio. Ma Dio è sempre il Maggiore, il Perfetto, Colui che da Se stesso si genera. Voi siete i minori, coloro che divenite perfetti se vivete in Dio e che da Dio siete generati. Or dunque, perché volete sempre modificare con le vostre complicazioni ciò che Dio nella sua Semplicità, che è uno dei segni della sua natura, dà perfetto nella sua semplicità?
Quando sono divenuto Maestro ho trovato la Legge, in origine così chiara e lineare, divenuta un groviglio di imposizioni e una macia di formule che la rendevano impraticabile ai fedeli. Naturalmente pesi e formule erano per gli umili. I potenti, quelle formule e quei pesi li avevano creati, ma non li portavano.
Il sacerdozio, gli scribi e i farisei mi fecero ribrezzo e sdegno. E se vidi fra loro qualche anima leale, che amai divinamente, vidi anche la turba degli altri, più numerosa di gregge di selvatici caproni, che col loro puzzo ammorbavano dei loro mercati, delle loro falsità, empietà, durezze la Casa del Signore e rendevano il Signore qualcosa di terribile per i poveri della Terra.
Per Me digiunavano e sacrificavano quei sepolcri di fetore? No. Per averne utile umano e lode. Comodo era essere i Dottori della Legge e comodo essere del popolo eletto in Israele. Ma non vi era verità di desiderio e di offerta per attirare il Messia e le sue benedizioni.
E il Messia andò altrove, nella regione sprezzata, ma dove una Tutta Santa e un Giusto meritavano di accogliere e tutelare il Germe di Dio.
E ora, o figli, digiunate o pregate per interesse di Dio? No. Le vostre naturali privazioni, che potrebbero tenere posto di digiuno, non le sopportate con rassegnazione, ma ne fate fonte di odio e imprecazione continua e stolta e sacrilega. Le vostre preghiere sono sozze e sciancate dai vostri interni sentimenti e sono guardate da Dio come cose immonde messe sulla pietra dell’altare. Dio le incenerisce sperdendone il fumo contro terra.
Una volta di più Io vengo a ripetere la forma che dovete usare per presentare a Dio sacrifici e preghiere, il cui profumo puro salga dall’altare al trono di Dio come olocausto di vittima perfetta.
“Giudicate secondo verità, siate misericordiosi e compassionevoli verso i fratelli, quali che siano, non opprimete vedove e orfani, poveri forestieri, umili e deboli della Terra, non abbiate in cuore pensieri di astio, vendetta e male opere verso i vostri simili. Amate, insomma, perché l’amore è il compendio della Legge e chi ama tutto fa, e l’amore è l’incenso che rende profumate le ostie di propiziazione e l’acqua lustrale che deterge le pietre del vostro altare”.
Non indurite cuore e udito più di quanto già non l’abbiate. Non chiudete il cuore e l’udito alla Voce di Dio che parla attraverso i suoi “portavoce”, come un tempo l’indurirono gli antichi alla Voce di Dio parlante attraverso i Profeti.
Se non ascoltate Me, per giustizia Io non ascolterò voi, e cesserete di avermi per Dio, per Padre e Salvatore. Conoscerete allora l’ira del Signore piena e inesorabile e, avendo ricusato il Pane della Parola di Dio, morderete la polvere e come belve senza cibo vi sbranerete l’un l’altro morendo nell’orrore per conoscere un orrore ancor più tremendo ed eterno.»
Dice Gesù:[656]
«Salvatore delle genti, non posso non essere Salvatore del popolo mio. Mio per legge antica, mio per legge nuova.
Sono, umanamente, uscito da quella razza e se essa mi ha deriso, misconosciuto, tradito, ucciso, se essa ha fatto ciò avendo l’anima appesantita e avviluppata dal magma della colpa che il mio Sangue non lava, essendo questa razza ramo che non vuole innestarsi al ceppo della vite divina, non è meno vero che sono morto anche per essa, che su essa ho diritti di Re e amore di Creatore.
Con durezza e ferocia i padri dei padri di questi d’ora hanno respinto il dono dell’Eterno e chiesto il mio Sangue[657] a sfamare il loro odio verso la Verità. Con pazienza, con intelligenza, con forza e con bontà li attirerò a Me.
Le opere buone o inique dell’uomo servono sempre a un fine soprannaturale, perché la malvagità umana viene raccolta da Dio e al contatto delle sue mani si muta in strumento di bene. Nulla lascia intentato Dio nel suo lungimirante operare per raggiungere lo scopo che è quello di riunire in un unico nucleo gli umani per l’ultimo giorno, come da un unico nucleo si diramarono per la Terra dividendosi come rivoli che traboccano dalla coppa di una sorgente.
L’opera è già iniziata ed i persecutori che ledono e offendono ciò che è umano non sanno di stare creando con la loro iniquità il gran giorno del Signore, in cui come pecore disperse radunerò il mio immenso gregge ai piedi della Croce e ribattezzerò col nome di “agnelli” gli inselvatichiti figli del gregge che già fu mio, espellendo coloro che sotto il segno mio sono gli aspidi e i lupi della società umana.
Quando saprete riconoscermi e piangere col cuore contrito, Io muterò la secolare condanna di voi, deicidi, in perdono e benedizione, poiché non posso dimenticare il bene compiuto dai vostri Padri antichi, i quali dal Regno pregano per voi erranti. Spogliatevi dunque anche voi, che per primi avete avuto in dono la Legge, di ciò che è ingrato a Dio.
Gli stessi comandi che faccio ai miei nati dal mistico travaglio della Croce, li dico anche a voi, che della croce vi siete fatti un sacrilego patibolo e una fonte di condanna.
Dite la verità e servite la Verità. Venite ad Essa. Battetevi il petto per coloro che l’hanno derisa ed hanno sperato di ucciderla. Hanno ucciso unicamente se stessi perché la Verità è immortale nella sua natura divina. Non ammantatevi delle insegne di essa per scopo umano. Ma una volta accostatala, amatela come sposa or ora conosciuta. Essa è quella che vi deve generare la Vita eterna. Ma non si può generare se di due non si fa una sola cosa perseguendo non piacere di sensi, ma santità di scopo. Siate onesti e sinceri con tutti e specie con Iddio, il cui occhio trivella i cuori e li passa parte a parte e li vede come e meglio di quanto lo scienziato e il batteriologo vedano nei vostri corpi le malattie che vi consumano e i germi che vi rodono.
Applicate l’amore alla verità nei rapporti con Dio e con l’uomo. Non tradite. Ha tradito or sono venti secoli uno della vostra razza, istigato e seguito da subdoli e malvagi. Levate quell’onta, che vi schiaccia da secoli, col vostro agire giusto e leale.
Per essere amati occorre farsi amare. Lo avete dimenticato molte, troppe volte. Amate la pace. È il segno del Cristo, che i vostri padri hanno ucciso attirando su voi la guerra che non ha termine e con pause di tregua esplode e risorge come morbo insanabile nel corpo della Terra e non vi dà sicurezza e riposo. Ora dovete imparare ad amarla questa pace per potere essere del Cristo e finire così l’eterno esodo della vostra razza.
Ogni zolla del mondo freme sotto il vostro piede e vi scaccia. Anche le vostre zolle antiche. Ma se Io, Signore del mondo, stenderò la mia Mano ed aprirò la mia Bocca a dire: “Basta! Costoro sono nuovamente miei”, la Terra più non potrà perseguitarvi. Le soprannaturali tende del Cielo saranno sopra di voi a protezione.
Ricordate quando per voi ho perseguitato i potenti, ho aperto il mare, ho fatto scaturire fonti nell’aridità dei deserti e piovere cibo dai cieli, quando ho messo i miei angeli ad aprirvi un varco fra i nemici per addurvi nella Terra che avevo promessa ai primi santi della Terra. Sono sempre quel Dio potente e pietoso.[658] Lo sono due volte di più ora che non sono solo il Padre Creatore ma il Figlio Salvatore, ora che la Terza Persona ha generato il miracolo della Incarnazione di un Dio per farne la Vittima espiatoria di tutta l’umanità.
Io vi attendo per poter dire: “Pace” alla Terra, e dire al Cielo: “Apriti ad accogliere i viventi. Il tempo è finito!”. Venite. Non ho cuore diverso, ora che sono in Cielo, di quello che avevo sul Golgota quando pregavo per i padri vostri e perdonavo a Disma[659].»
Dice Gesù a me:
«Ho dettato questo brano oggi che puoi scriverlo, invece di domani che non potresti farlo. Metti la data di domani. La collana dei dettati deve essere regolare come moto di pendolo. Un giorno si capirà meglio il perché dico di fare così. Ora riposa sul mio Cuore.»
Ore 8 antimeridiane dello stesso giorno 5-12
Più tardi dice Gesù:
«Abbi pazienza, anima mia. Non posso stare senza parlarti, perché parlare a chi mi ama costituisce la mia delizia, il mio desiderio, il bisogno del mio Cuore amante di voi.
Hai mai visto come fanno due sposi che realmente si amano? La sposa, mentre è in casa, guarda ogni momento l’orologio, corre alla finestra, per vedere se il tempo passa, per vedere se lo sposo torna dal suo ufficio. Lo sposo, non appena può, scappa a dire una parola d’amore alla sua sposa. L’ha appena lasciata e si sovviene che poteva dirle anche questo per farla felice, e se appena può corre a dirglielo. È l’amore che li sprona.
Anche Io, non appena taccio, sento che ho altro da dirti. Vorrei parlarti notte e giorno, averti tutta per Me, vorrei che tu potessi dedicarti tutta a Me. Se sapessi come ti amo!
Ora senti. Anni or sono, leggendo gli scritti del mio servo Contardo Ferrini,[660] ti chiedesti più volte – perché nella mistica eri una analfabeta – in che consisteva “la conversazione nei Cieli”.
Ecco: quando tu mi ascolti ed Io ti parlo, quando in luogo di murmure superficiale di preghiere Io ti rapisco nel fuoco delle rivelazioni e ti occupo di Me, quando tu mi dici: “Vieni, Gesù, a parlare alla tua serva”, quando gusti il sapore della mia Parola che deposito in te come in un forziere, in un’idria, perché tu la dia ai poveri e agli assetati della Terra, allora noi facciamo una conversazione nei Cieli.
Eri troppo legata alle formule, come quasi tutti i cattolici ferventi. Io ti ho slegata. Ho lanciato l’anima tua, fuor dal pelago delle circoscrizioni formulari, delle piccinerie delle pratiche, sugli spazi sconfinati del mistico mare dell’orazione. Ti ho avvolta, aspirata, rapita, indiata nel fuoco dell’orazione.
Eri un piccolo passero impastoiato. Ora sei un’aquila che spazia e domina e sale verso il Sole e lo fissa e ne è fortificata.
Sali sempre più, come l’aquila a voli concentrici. In alto sono Io, Aquila eterna, che ti attendo per portarti, oltre i sensi, nel conoscimento d’amore.
Ubbidisci sempre al richiamo, con prontezza e fiducia. Abbandònati al vento dell’amore. Esso ti sostiene, non ti ostacola. Esso spira per portarti a Me da cui viene. Perditi, goccia d’acqua nel mio infinito oceano, perditi, favilla di luce nel mio sconfinato fulgore. Entra a far parte del tuo Dio e Signore, del tuo Sposo. Ti apro tutte le porte dei miei tesori perché tu li possegga.
Ti amo!»
Ore 10 antimeridiane del 5-12
Dice Maria:
«Parlando della Presentazione al Tempio, Luca dice[661] che “il padre e la madre restavano meravigliati delle cose che si dicevano del Bambino”.
Meraviglia diversa dei due coniugi. Io, alla quale lo Spirito Sposo aveva rivelato ogni futuro, meravigliavo soprannaturalmente, adorando la Volontà del Signore che si vestiva di carne per volere redimere l’uomo e che si rivelava ai viventi dello spirito. Meravigliavo una volta di più che ad esser la Madre della Volontà incarnata Iddio avesse scelto me, sua umile ancella. Giuseppe meravigliava anche umanamente poiché egli altro non sapeva fuor di quello che le Scritture gli avevano detto e l’angelo rivelato[662]. Io tacevo.
I segreti dell’Altissimo erano come deposti sull’arca chiusa nel Santo dei Santi e solo io, Sacerdotessa suprema, li conoscevo, e la Gloria di Dio li velava agli occhi degli uomini col fulgore suo insostenibile. Erano abissi di fulgore e solo l’occhio verginale baciato dallo Spirito di Dio poteva affissarli. Ecco perché eravamo, tanto io che Giuseppe, meravigliati. Diversamente, ma ugualmente[663] meravigliati.
Ugualmente va interpretato così l’altro passo[664] di Luca: “Ma essi non compresero ciò che aveva lor detto”.
Io compresi. Sapevo prima ancora e, se il Padre permise la mia ambascia di madre, non mi velò il significato eccelso delle parole del mio Figlio. Ma tacqui per non mortificare Giuseppe a cui non era concessa la pienezza della grazia.
Ero la Madre di Dio, ma ciò non mi esimeva da essere moglie rispettosa verso il Buono che mi era amoroso compagno e vigile fratello. La nostra Famiglia non conobbe mende, in nessun motivo e campo. Ci amammo santamente preoccupati di una cosa sola: del Figlio.
Oh! Gesù restituì nell’ora della morte ogni conforto, come solo Egli lo poteva fare, al mio Giuseppe, in ricordo di tutto quanto aveva ricevuto da quel Giusto. Gesù è il modello dei figli, come Giuseppe lo è dei mariti. Molto dolore ho avuto dal mondo e per il mondo. Ma il mio santo Figlio e il mio giusto Consorte non fecero venire altre lacrime al mio occhio che non fossero quelle del loro dolore.
Quando Giuseppe non fu più al mio fianco, ed io fui la prima autorità terrena del Figlio mio, non mostrai più di non capire tacendo. Nessuno più si sarebbe mortificato di vedersi superato in comprensione, e a Cana[665] parlai. “Fate quello che Egli vi dirà” dissi, poiché sapevo che Gesù nulla mi nega e che dietro le sue parole sostenute già era il primo miracolo suscitato da me e offerto a me dal Figlio mio, come una candida rosa nata per prima su un rosaio a primavera.
Bisogna saper leggere il Vangelo, Maria. Gli uomini non lo sanno leggere. Io ti guiderò la mano e te lo spiegherò là dove il mio Gesù non te lo spiega. Sono la Mamma di tutti e due. Voglio che la mia bambina conosca il suo dolcissimo Gesù, Gesù nostro, come pochi lo conoscono.
Più lo conoscerai, più lo amerai. Più lo amerai e più mi farai felice.»
♦ Estratto da «L’Evangelo come mi è stato rivelato» ♦ Copyright © Fondazione Erede di Maria Valtorta • ETS
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